La finanza comportamentale è una scienza che utilizza la psicologia per cercare di spiegare come le emozioni hanno la capacità influenzare gli investitori e i loro processi decisionali.
I primi pionieristici studi in questo campo sono stati compiuti alla metà degli anni ’70 dal futuro premio Nobel per l’economia Daniel Kahneman e da Hersh Shefrin.
La mente umana si è sviluppata e si è adattata nel corso di millenni di evoluzione. Durante l’evoluzione, il nostro cervello si è abituato a ragionare utilizzando l’approssimazione e la semplificazione della realtà, mettendo in atto comportamenti chiamati euristiche, al fine di agevolare lo svolgimento dei compiti quotidiani. L’euristica è quindi il “pilota automatico” del nostro cervello, che ci consente di gestire al meglio le situazioni ricorrenti e a scegliere la via più breve e semplice in ogni cosa, per evitare lo spreco di energie mentali.
Kahneman e Shefrin hanno scoperto che l’uomo tende ad utilizzare queste scorciatoie mentali, appunto le euristiche, anche nel corso delle decisioni di investimento.
Se le semplificazioni possono essere utili nella vita di tutti i giorni, sono invece molto pericolose durante il processo e le scelte di investimento, perché spingono il nostro cervello a ragionare in modo emotivo e non razionale.
La finanza è una scienza matematica e come tale richiede la massima razionalità e il massimo distacco possibile dalla sfera emotiva.
Vediamo quali sono i comportamenti sbagliati più comuni (detti anche Bias, ovvero pregiudizi) che gli investitori tendono a porre in essere.
Compare ai massimi e vendere ai minimi:
E’ il più pericoloso tra tutti gli errori che si possono compiere nel campo degli investimenti.
Non è un vero e proprio bias emerso dagli studi sulla finanza comportamentale, ma è un comportamento che purtroppo viene posto in essere da tutti gli investitori che non sono dotati di una corretta educazione finanziaria.
Visto così, sembra essere un errore da dilettante, ma purtroppo è molto facile incorrervi.
Di seguito due esempi:
Il primo caso, ovvero acquistare ai massimi, ha portato tantissimi investitori alla perdita totale del patrimonio investito durante la cosiddetta “bolla delle dot Com” nel 2000.
Cosa è accaduto e perché? Tra il ’99 e il 2000, vi è stato l’avvento dell’internet alla portata di tutti che conosciamo oggi, con la nascita dei primi provider (ad esempio Tiscali, Inforstrada ecc…) che permettevano la navigazione web anche dal pc domestico. La borsa ha visto una crescita impressionante delle quotazioni di tutto ciò che era .com e tecnologie internet, facendo crescere le quotazioni di molte azioni ben al di sopra di quello che avrebbe dovuto essere il loro reale valore di mercato. Ben presto, ma forse troppo tardi per alcuni investitori, ci si rese conto che si trattava di una bolla finanziaria, con quotazioni troppo gonfiate che sarebbero crollate da un momento all’altro.
Cosa ha favorito la crescita della bolla? Il comprare ai massimi.
Nel 2000 tutti si consideravano esperti di finanza. Tutti compravano azioni (senza diversificare il portafoglio, mettendo tutti i propri risparmi su un unico o pochi titoli) perché il vicino di casa, il salumiere, o il giornalaio dicevano di aver guadagnato molti soldi nell’anno precedente grazie alle azioni Tiscali o altro. In effetti, molte persone erano riuscite ad arricchirsi con i titoli tecnologici addirittura al punto da acquistare una seconda casa.
Ascoltare i consigli di chi si era già arricchito, però, significava comprare ai massimi di mercato. Acquistare titoli all’apice delle quotazioni, senza avere una cultura finanziaria, solo perché altri prima avevano guadagnato significava credere che la crescita del titolo in questione potesse continuare all’infinito. In realtà i mercati sono ciclici, e dopo un massimo arriva prima o poi una correzione al ribasso. Il successivo scoppio della bolla e crollo delle quotazioni ha distrutto i risparmi di molti e distrutto per anni anche la fiducia sul mondo della finanza.
“Cercate sempre nuove occasioni. Quando un affare è in prima pagina, è già tardi per attivarsi”
Questa frase di Robert Kiyosaki, con il giusto grado di approssimazione, dovrebbe fornire all’investitore il buonsenso su come operare sui mercati.
Il secondo caso, ovvero vendere ai minimi, o comunque dopo un ribasso è il tipico esempio di ciò che accade quando l’investitore si spaventa e si fa sovrastare dalle emozioni.
Le emozioni devono rimanere al di fuori dalle scelte d’investimento. Con il supporto di un professionista della consulenza finanziaria bisognerebbe investire su una serie di titoli ben diversificati e adeguati al proprio grado di rischio, e mantenere l’investimento fermo per il tempo pianificato (5 anni, 10, o di più).
Al contrario, bisognerebbe mantenere una quota di liquidità da parte da utilizzare per acquistare altre quote dopo un ribasso dei mercati, per avere poi la possibilità di guadagnare sfruttando il futuro rialzo.
“Gli affari si fanno comprando a sconto, quando i titoli costano meno e le quotazioni sono scese”
Bisogna investire accettando il “gioco dei mercati” e essendo perfettamente consci del fatto che i mercati prima o poi scenderanno, perché l’hanno sempre fatto, e che poi risaliranno, perché l’hanno sempre fatto e perché il sistema mondiale è sempre in crescita e in miglioramento. I mercati hanno le proprie oscillazioni anche brusche e prolungate, ma puntano sempre al rialzo nel lungo termine. E’ solo questione di pazienza, fiducia nel proprio consulente, e sangue freddo.
Credere di anticipare il mercato
Molti investitori fai-da-te credono di essere in grado di poter anticipare la crescita o il crollo di un titolo o di una determinata asset class in seguito ad esempio di notizie sentite in radio o lette si quotidiani specializzati.
La regola è mai cercare di anticipare i mercati. I problemi possono essere molteplici. Il più grande è il timing.
Prendiamo il caso che l’investitore abbia ragione, che la quotazione di un titolo dovrà salire (e già stiamo prendendo come esempio una percentuale molto ridotta dei casi). La domanda che l’investitore dovrebbe porsi è: quando salirà? Ho la possibilità di mantenere una posizione aperta magari per mesi, e di subire una discesa della quotazione e del valore di quanto investito in attesa della crescita che ho previsto? Molte volte capita anche che la crescita prevista sia già incorporata nel valore attuale della quotazione ovvero che il valore del titolo sia già cresciuto da diversi mesi proprio perché il mercato si aspettava la futura crescita. In questo caso, l’unica cosa che può accadere è l’inizio della discesa della quotazione proprio quando il nostro investitore investe essendo sicuro dell’imminente rialzo.
Gli errori che ho deciso di proporre non sono i veri e propri bias scoperti nelle ricerche sulla finanza comportamentale, ma ne sono le conseguenze pratiche.
I bias (pregiudizi) psicologici degli investitori sono invece i seguenti:
- Tendenza a non cambiare idea, a dare poco peso e a non considerare le opinioni che contraddicono il proprio punto di vista.
- Eccessiva fiducia in se stessi e nelle proprie previsioni. Molto spesso accade proprio il fatto che si pensa possa avere la minore probabilità di accadimento.
- Eccessivo ottimismo: a volte, in finanza, è meglio essere razionali e vedere il bicchiere mezzo vuoto anziché mezzo pieno.
- Errore di attribuzione: “è merito mio quando le cose vanno bene, è colpa degli altri (del mercato, del proprio consulente…) quando le cose vanno male”.
- Giudizio retrospettivo: quando l’investitore si auto convince che un evento accaduto fosse già prevedibile nel momento in cui è stata presa una determinata decisione, quando invece non era assolutamente possibile prevederlo. Questo bias è molto pericoloso in quanto può creare ragionamenti del tipo “ho capito come vanno le cose sui mercati, la prossima volta agirò in quest’altro modo”.
- Illusione del controllo sull’andamento dei mercati o su dinamiche macroeconomiche e politiche che sfuggono addirittura alla propria comprensione.
- Status quo bias: quando un investitore, essendo in forte perdita o essendo in una situazione di forte guadagno, non ha la forza di intraprendere un cambiamento, come ad esempio chiudere la posizione per accettare la perdita o per incassare il guadagno.
- Avversione alla perdita: distorsione importantissima che toglie razionalità dalla scelta di investimento. Trovandosi in una situazione con il medesimo 50% di possibilità di perdita o di guadagno, in media gli investitori temono due volte e mezzo di più la perdita di quanto sperino nel guadagno.
- Avversione alla perdita certa: l’investitore non accetta che una perdita sia ormai certa e per sperare di recuperare decide di rischiare di perdere ancor di più. Questo, in media, accade anche nel caso in cui egli abbia solo il 20% di possibilità di andare in pareggio e poter recuperare quanto perso inizialmente, contro l’80% di perdere di nuovo.
L’investitore fai-da-te, che fa “trading” vendendo e ricomprando continuamente perché sopraffatto dalle emozioni, incorre in bassi rendimenti o gravi perdite.
L’investitore oculato invece comprende e fa suo il “gioco dei mercati”.
Egli si avvale (gratuitamente) di un professionista della consulenza finanziaria capace di pianificare e creare un portafoglio di investimento adatto a lui e al contesto storico dei mercati. L’investitore saggio, non vende e compra continuamente, ma mantiene il proprio investimento per il tempo concordato, ottenendo infine soddisfazione e buoni rendimenti.
Mattia Cavattoni, consulente finanziario