“Tutto considerato, c’è più difficoltà a conservare il denaro che a procurarselo”
Michel de Montaigne
Nulla di più appropriato della frase pronunciata nel lontano 1500 dal commerciante, pensatore, filosofo e politico francese Michel de Montaigne, per dipingere il quadro della situazione dei mercati finanziari di oggi.
Un’affermazione, questa, certamente emersa in ambiti e contesti storici totalmente differenti, ma che può tornare utile per comprendere qual è il giusto modo per approcciare i mercati finanziari di oggi.
Contestualizzando ad oggi, che cosa si intende per “difficoltà a conservare il denaro”?
Con questo ci si riferisce a diversi ambiti:
Partendo dalle cose più semplici, è diventato un costo reale e concreto mantenere somme depositate sui conti correnti.
Prima di tutto per le banche stesse, per le quali la liquidità non è più un bene ma un onere, essendo costrette a stretti vincoli di bilancio e dovendo pagare tassi più alti per costituire depositi monetari con la liquidità in eccesso presso le banche centrali. Questo automaticamente va a ripercuotersi sui risparmiatori, che non riceveranno più un interesse annuo per le somme depositate, ma che anzi saranno costretti a pagare canoni annui maggiori per i conti correnti. In alcuni paesi europei, è addirittura accaduto che i correntisti siano stati costretti a pagare interessi passivi sulle somme depositate. Parlando di costi, tutte le maggiori banche italiane, dopo aver inviato lettere di modifica unilaterale del contratto ai correntisti, hanno già aumentato i propri costi sui conti correnti da 60€ all’anno fino ad arrivare in alcuni casi a 120 € all’anno.
Riassumendo, le conseguenze di questi cambiamenti sono quindi:
- Nessun interesse a beneficio dei correntisti sulle somme depositate;
- Aumento dei costi di canone annuo dei conti correnti;
- Chiusura filiali bancarie (per vincoli di spesa sui bilanci), tagli del personale e peggioramento del servizio;
- Perdita di potere di acquisto sulle somme depositate a interesse zero, a causa dell’inflazione (costo della vita) crescente.
Un altro ambito in cui questa affermazione calza alla perfezione sono gli investimenti.
I risparmiatori-investitori, abituati da decenni a tipologie di investimento “a capitale garantito” e rendimenti interessanti, si trovano oggi totalmente spiazzati.
Gli investimenti di questo tipo, storicamente offerti sul fronte postale, offrono oggi rendimenti irrisori in continua diminuzione, la cui quota di guadagno, anche se presa al lordo della tassazione, non è nemmeno sufficiente a coprire i costi annui sui libretti postali o sui conti correnti.
Stessa sorte per i cari vecchi conti deposito, che offrono oggi rendimenti allettanti solo nelle pubblicità. Andando poi ad analizzare i contratti ci si accorge che offrono rendimenti buoni solo per i primi mesi (comunque minori dell’inflazione), andando poi a decrescere e ad avvicinarsi allo zero, mantenendo però vincolate le somme depositate per alcuni anni.
E i Titoli di Stato?
I BOT a breve termine offrono rendimenti negativi, o molto prossimi allo zero. Ciò significa che chi investe in BOT è già sicuro che andrà a perdere del denaro.
Per ottenere invece una cedola annuale interessante sui BTP, bisognerebbe acquistare Titoli di Stato con scadenze a lungo termine (ad esempio 10 anni) e detenerli sino a scadenza per ottenere indietro l’intero capitale versato. Qualora si decidesse di vendere prima il titolo per esigenze immediate di liquidità, si riceverebbe una somma sicuramente minore del capitale versato, a causa della imminente crescita dei tassi di interesse (legata alla fine del Quantitative Easing in Europa e Stati Uniti) e all’inflazione in crescita, che faranno diminuire il valore delle quotazioni dei BTP già emessi.
Fonte immagine: Amundi Asset Management
Mattia Cavattoni, Consulente Finanziario